Abstract:
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Esiste una fortissima sinergia in un autore quale Carlo Emilio Gadda tra riflessione saggistica e scrittura romanzesca. I due momenti, quello appunto riflessivo o metalinguistico e quello narrativo – con tutto ciò che ingloba questo aggettivo in termini di varietà, possibilità e registri – in Gadda sono destinati, fatalmente, a collassare uno sull’altro. Raramente i due momenti si trovano allo stato puro. Non lo sono nei più maturi esiti romanzeschi, dalla Cognizione del dolore (1938-41) a Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1957), dove la riflessione filosofica, la meditazione, la digressione metalinguistica sono pressoché ubique; e seppur a polarità inversa, questa magnifica, caotica impurità si trova anche nei testi più saggistici di Gadda.
Gli esempi da fare sarebbero molti, a iniziare dal suo testo che doveva diventare la sua tesi di laurea in filosofia, Meditazione milanese a cui lavora alacremente per tutto l’anno 1928. Ma certo, per questa via, arriviamo al più maturo esemplare di questa impurità, la raccolta di saggi intitolata I Viaggi la Morte (1958). |