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Cairn è la sesta e più recente raccolta poetica di Enrico Testa. La scelta del titolo, a prima vista indecifrabile, è invece una chiave di lettura per alcune delle tappe più intime del suo percorso poetico (dal gaelico carn, «mucchi di pietra», «segnavia e segnavita») che ha nel rapporto con i morti, nel sogno, nel viaggio, nello spazio domestico e nella memoria, i suoi punti di forza e di fuga. È infatti a partire dall’esteriorità, dall’esperienza stessa e, perché no, dalla nuda esistenza, tanto per ricordare Lévinas, che questo io si dispiega. Studioso molto stimato e poeta ormai riconosciuto anche in terre lontane come il Brasile, in questa raccolta, nonostante s’intravedano nuovi percorsi, sono ancora il moto contradditorio della scrittura e la disposizione dell’io a costituire dei punti nevralgici; un gesto del dispiegarsi che sospende le associazioni più immediate e logiche e che potrebbe addirittura rimandare alla domanda di Blanchot: «Scrivere, significherebbe forse, nel libro, divenire leggibili a chiunque e indecifrabili a se stessi?». |
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